Il tesoro perduto di Castel Seprio, leggenda popolare

Descrizione

 

Vi è stato un tempo lontano in cui Castel Seprio era diventato il covo di una banda di terribili guerrieri ladroni. Siccome non erano capaci di stare con le mani in mano, o si impegnavano a combattere per conto d’altri, dietro ricompensa, o si aggiravano per i paesi del Seprio alla ricerca di occasioni per menar le mani e rapinare.

Quando comparivano, c’era da aver paura! A cavallo, vestiti delle loro armature e ben armati. Non temevano nessuno, neanche un esercito, pur di portare a casa qualcosa: e, infatti, ci riuscivano sempre. Per accordo comune, tutti i tesori venivano divisi in parti uguali, ma una rimanenza veniva messa in serbo per essere usata, un domani, in caso di necessità. Metti da parte oggi, metti da parte domani, il tesoro era diventato grossissimo: monete, anelli, bracciali, vasi, calici… anche una corona da re rubata chissà dove, oltre a oro, argento e pietre preziose.

Il tesoro era conservato in una camera nella torre più grande del castello, davanti alla quale faceva sempre la guardia uno dei guerrieri, a turno.

* * *

Il capo della banda si chiamava Dardone e aveva presso di sè una donna, rapita durante una scorreria, che sia chiamava Saga ed era la sua serva. Non era bella, ma non si poteva neanche dire brutta: ma era intelligentissima e di carattere fiero. Non abbassava mai gli ochhi e non si dava mai per vinta, se non per calcolo. Grazie a queste sue qualità, la Saga si era guadagnata prima la stima e poi anche la fiducia del Dardone, diventando sua confidente e compagna, al punto che, il Dardone, l’aveva fatta partecipe delle sue ricchezze, regalandole parecchi preziosi che aveva ottenuto dalla divisione delle scorrerie.

Ma alla Saga, che era diventata abile ad approfittare della situazione, questo non bastava. Un certo giorno, aveva visto per caso una collana che doveva finire nel tesoro comune, e disse al Dardone che voleva proprio averlo. Chiedi uno, chiedi due, chiedi tre, il Dardone non cedeva. Provò a chiedere aiuto ad altri, ma nessuno voleva rompere le regole, anche se in tanti sospettavano in altri, pensando che fossero implicati nella faccenda.

La Saga allora decise che, se lei non poteva avere la collana, nessun altro avrebbe mai più goduto di quel tesoro. Avrebbe fatto in modo che lo perdessero, per poi andarlo a riprendere tempo dopo. La Saga era infatti la figlia di una maga e dalla mamma aveva imparato diverse pratiche. Portatasi fuori da Castel Seprio, cominciò a cercare certe erbe dai fiori bianchi* che ben conosceva; ne raccolse un mazzo e, portatolo a casa, ne fece un infuso. Poi ne colò un po’ in una fiala che si lego in seno, in attesa dell’occasione giusta.

Si trattava di una pozione che avrebbe ubriacato e fatto impazzire anche una legione di diavoli, ma che – finito l’effetto – non avrebbe fatto ricordare più niente di quanto accaduto.

 

* * *

Una sera i guerrieri erano tornati da una scorreria e stavano banchettando: il vino scorreva a fiumi e gli arrosti non mancavano. Era l’occasione giusta per la Saga: senza dar nell’occhio, lasciò cadere qualche goccia dalla fiala in ognuna delle botti di vino. Quindi si allontanò, aspettando che ognuno dei commensali avesse bevuto almeno una mezza tazza.

Si presentò allora in mezzo alla sala, trovò tutti i guerrieri drogati e gridò: “I vostri nemici stanno per arrivare! Lo so che riuscirete a sconfiggerli, ma se riusciranno a entrare anche solo per poco nel castello, troveranno il tesoro! Andate subito a nasconderlo di fuori. Poi andremo a riprenderlo con calma”.

Stanulati dalla bevanda, ai guerrieri già sembrava di sentire il rumore degli zoccoli in lontananza, iniziarono a raccogliere il tesoro in diversi sacchi, presero le pale e saltarono a cavallo. Dove avrebbero dovuto seppellirlo? Parlavano confusamente: nel vallone verso Torba, vicino alla chiesa di S. Maria, al Sundrio… Alla fine arrivarono nelle brughiere, scavarono in fretta e furia una buca e vi misero dentro dentro tutto.

Si tirarono indietro nella grande sala e, aspettando i nemici – che non arrivarono mai – si addormentarono. E la saga? Aveva seguito i guerrieri e aveva cercato di spiarli da lontano per capire in quale punto stavano seppellendo il tesoro. Però, era incappata in un problema: il suo cavallo si era azzoppato e aveva perso del gran tempo per cercarne un altro: non era riuscita a capire in che direzione si fossero avviati.

In tal modo il suo piano era andato in fumo e non le restò che scappare da Castel Seprio proprio quella notte. L’indomani il Dardone e i suoi compagni si risvegliarono come da una grande sbornia senza ricordare niente di quello che era successo. Poi  uno di loro iniziò a ricordare di una gran corsa a cavallo, poi un altro di aver maneggiato dei sacchi, un altro di aver scavato una buca, ma tutto in maniera vaga. Gli rimase il sospetto che la Saga c’entrasse qualcosa, ma nessuno fiatò sui suoi tentativi precedenti di mettere le mani sulla collana. Il Dardone era di umore nero!

La Saga provò più volte furtivamente a tornare a cercare il tesoro perduto, ma non lo trovò mai. Ogni segno era sparito, e ancora oggi nessuno sa dove sia.

 

(*) si trattava probabilmente dello stramonio comune (Datura stramonium), detto anche erba del diavolo o erba delle streghe. Ha proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene. Fu diffuso in Europa dal Cinquecento.

 

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Autore

Matteo Colaone. Adattamento da: "Il tesoro perduto", in P. G. Sironi, I racconti di Torba, Colombo, Tradate, 1994.